Cosa vedere a Cordoba in due giorni
Sulla strada per Córdoba avvistiamo diversi rapaci e un gran numero di cicogne. Il nostro hotel è facile da raggiungere in macchina, ma non vicinissimo al centro. Camminiamo per circa un chilometro e mezzo lungo una brutta, puzzolente e trafficata strada della prima periferia, abbruttita da discount, anonimi condomini e garage non meglio identificati. Solo un edificio coloratissimo si distingue nettamente dagli altri: sembra un museo di arte contemporanea, invece è una struttura sanitaria.
Stanco dal viaggio in macchina e po’ stordito dal traffico, sono sconcertato e deluso rispetto alle mie aspettative. E poi accade il miracolo: la città vecchia appare come un miraggio nel deserto, laggiù, oltre il fiume Guadalquivir, alla fine del massiccio ponte romano che termina con l’imponente porta della città. C’è una luce perfetta mentre ci incamminiamo, con il profilo color sabbia disegnato dagli edifici, che comunica una quieta solenne, una pace meritata, raggiunta dopo travagli lunghi più di un millennio. È da qui che sono passati i romani, i mori, gli ebrei, i cristiani. È attraversando questo stesso ponte che il Tempo si è infilato sotto la porta e i Secoli si sono diffusi tra i vicoli e le piazze. È esattamente qui che, se l’ho avuto, ho avuto il mio duende: una percezione generalmente collegata al flamenco, la sensazione impalpabile di sentirsi ipnotizzati, posseduti dall’Andalusia e condotti verso una sorta di catarsi. Trattengo letteralmente il fiato mentre attraverso la porta, con la percezione quasi tattile di varcare realmente una soglia che mi condurrà in un altrove, in Europa certo, ma anche molto lontano da qui: una dimensione dove tutte le epoche, tutti i secoli, tutti i giorni e gli attimi convivono contemporaneamente in un eterno confondersi ed evolvere. Trovo meraviglioso che immediatamente dietro la porta, il primo edificio che ci accoglie sia una struttura contemporanea, tutta vetri e materiali di ultima generazione, ma perfettamente inserita nel contesto, con ritmi, colori e proporzioni studiati per completare idealmente il profilo cittadino. Accanto, nella piazza costruita in salita, edifici ammantati di rosso e giallo esibiscono con orgoglio la propria identità islamica (vedi anche Medina Azahara).
È la città che mi è entrata più dentro, Córdoba (Patrimonio Unesco dal 1984). Mentre ti perdi tra i vicoli della juderia dove pochi turisti si avventurano, giocando a nascondino con archi e mura bianchissimi e trovandoti all’improvviso dentro a un patio traboccante di odori dolci e pungenti, non puoi restare indifferente. Non puoi non percepire Averroè e Maimonide (vedi Poeti e Filosofi d’Andalusia)
Dopo un pranzo rapido al 101 tapas, visitiamo l’Alcazar de los Reyes Cristianos (entrata: 4,5 euro), la fortezza che fu palazzo dell’Inquisizione e che ora ostenta resti romani trovati dagli scavi del 1959. Sonnecchiamo pigramente nei suoi giardini, che tradizionalmente vengono considerati tra i più belli di tutta l’Andalusia (in realtà, pur belli, non reggono il confronto con quelli dell’Alhambra e per essere onesti non mi è sembrato che aggiungessero molto al fascino infinito di Córdoba e dei suoi patios ermetici, da guadagnarsi oltre le mura che li custodiscono come tesori nascosti). Al pomeriggio ci arrampichiamo su per il campanile della Mezquita, costruito su di un minareto, per osservare dall’alto tutta la città (Le visite durano mezz’ora e costano 2 euro), gironzoliamo sino a El Potro, un’antica taverna dove visse Cervantes (e che descrisse come un covo di briganti), diamo un’occhiata al museo dedicato a Julio Romero de Torres e alle sue donne, e infine ceniamo in un locale lì vicino, attardandoci volontariamente, per poter osservare la città anche sotto la luce della luna. È veramente difficile mettersi in testa di dover lasciare Cordoba. L’unico pensiero che mi consola, mentre mi giro indietro per l’ultima, inutile, insulsa foto notturna al ponte romano, è che l’indomani saremo di nuovo qui, per una visita mattutina alla Mezquita.
La Mezquita di Cordoba è una selva ipnotica e disorientante di archi bianchi e rossi a perdita d’occhio, che evocano le prospettive immaginarie di Escher e provocano capogiri ogni volta che si tenta di organizzarli nello spazio. È la terza moschea più grande del mondo, eppure è una chiesa cristiana. È la sorpresa di trovarsi all’improvviso, girando un angolo, dentro alla Capilla Mayor, uno spazio rinascimentale ed evidentemente cristiano, fatto edificare da Carlo V, che pare si sia in seguito pentito per aver violentato la natura islamica dell’edifico. È la luce che gioca con i decori dorati, i chiaroscuri che svelano e nascondono, è un continuo rimescolare Islam e Cristianesimo, con croci incastonate sotto ricami di pietra e icone sacre proprio dove dovrebbero essere considerate proibite. È un corpo solido, ma anche un aggregato immateriale di epoche, un complesso di simboli e segni che raccontano una storia iniziata nel 600 e, attraverso conversioni e riconversioni, arrivata sino ai giorni nostri. È, soprattutto, un grande laboratorio di culture, che forse potrebbe rappresentare un’occasione di dialogo ancor più di quanto già non sia (abbiamo letto che nel 2004 i musulmani spagnoli hanno richiesto di poter pregare all’interno, ma il Vaticano non ha concesso il permesso).
Un piccolo trucco per visitare la Mezquita di Cordoba
Se stai cercando consigli, ecco una cosa che mi sento di dire: visita la Mezquita al mattino presto, non appena apre, per tre ragioni fondamentali:
1. Dalle 8.30 alle 9.30 la visita è gratuita.
2. Ci sono pochissimi turisti e riuscirai a trovare angoli in cui rimanere completamente solo.
3. A quell’ora la luce è incredibile e contribuisce, con le sue penombre e i suoi chiaroscuri, a rendere l’atmosfera ancora più affascinante.
Una risposta su “Córdoba con gli occhi di Diego”
Io col cazzo che torno in Italia 😀 vado a Siviglia, e poi prendo il bus per Cordoba, altro che aereo di ritorno 😛